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CO-BRANDING: l’evoluzione della sperimentazione commerciale

Co-branding, ovvero una forma di collaborazione commerciale tra imprese, spesso limitata nel tempo e regolamentata da un contratto volto a realizzare progetti comuni o complementari fra loro, procurandosi vantaggi reciproci quali possono essere la riduzione dei costi di marketing o dei costi di sviluppo di nuovi mercati.

Semplice da definire, più complesso da realizzare.

Più volte abbiamo ribadito quanto un marchio sia un segno distintivo per l’azienda che ne detiene i diritti. E’ uno dei mezzi di comunicazione più efficaci nei confronti del consumatore percependolo come garanzia di qualità costante nel tempo, ecco perché l’unione di due brand (due marchi) è una scelta forte. Affiancare il proprio marchio ad un altro deve creare vantaggi ad entrambe le parti coinvolte per esempio facendo leva su un pubblico più vasto.

Gli specialisti di marketing hanno distinto il co-branding in categorie in base al tipo di impegno sottoscritto dalle due società interessate.

Co-branding di tipo strategico: coinvolge direttamente le due aziende che possono dare vita anche ad una nuova marca “ibrida”. Un esempio di questo tipo di co-branding strategico è dato dalla stretta collaborazione delle case di moda Versace e Fendi con la nascita di FENDACE. Un momento unico nella storia della moda. Non una semplice collaborazione, ma uno scambio di ruoli e codici. Kim Jones e Silvia Venturini Fendi reinterpretano Versace, Donatella Versace rielabora Fendi, per creare due collezioni uniche: Fendi by Versace e Versace by Fendi.

Co-branding di tipo tattico: quello utilizzato più di frequente con un orizzonte temporale limitato. Si può anche definire d tipo concettuale, quando due marchi operanti in settori diversi si uniscono dando vita ad un prodotto in edizione limitata recante entrambi i marchi. Un esempio recente è quello del co-branding FENDI + RUMMO dove quest’ultima ha realizzato un formato di pasta riproducente il pattern della casa di moda che ha usato la confezione di pasta come invito ad una delle sue sfilate valorizzando così entrambi i marchi all’interno del grande serbatoio del Made in Italy.

Oppure ancora ne abbiamo uno di tipo simbolico o affettivo, consistente nell’associare le due marche da un punto di vista psico-sociale o emozionale. Si tratta di una variante utilizzata spesso per mirare a quel tipo di clientela potenziale che presenta una consonanza particolare con una delle due marche. Si pensi ad esempio a Fiat Panda + K-Way oppure a Baci Perugina + Dolce e Gabbana.

Si può perciò affermare che il co-branding funziona sempre? No, non è sempre un matrimonio fortunato. Bisogna essere consapevoli dei rischi e dei contro che si possono verificare. Un esempio negativo di co-branding, ad esempio, è stato quello tra Philadelphia e Milka. L’uscita del prodotto riportante entrambi i marchi non ha infatti riportato il successo che le due aziende avevano auspicato. 

Ad ogni modo i vantaggi sono ampiamente dimostrati, perché ci sono più interazioni, perché si va ad aumentare la fiducia nel cliente ma soprattutto, perché si crea maggior movimento attorno ai due brand e se si sfrutta bene l’opportunità fornita dal co-branding, entrambi i protagonisti possono acquisire nuovi clienti e rafforzare la loro leadership sul mercato e basta una breve ricerca sul web per scoprire le tante collaborazioni in essere.

PACKAGING: E’ DAVVERO COSI’ IMPORTANTE NELL’IMPATTO COL CONSUMATORE?

 La risposta è SI!

Ne hanno parlato ad un convegno lo scorso 8 ottobre in un convegno promosso da “Sprint soluzioni editoriali” e “INDICAM” dal titolo “Packaging: tutela del design delle confezioni dei prodotti, la percezione del consumatore” in cui numerosi giuristi ed esperti del settore, hanno analizzato i dati e messi a confronto.

Una delle prime analisi affrontate dal Prof. Avv. Sandri, “Former Special Advisor to UAMI/EUIPO”, ha posto l’accento sull’evoluzione storica del colore come segno distintivo registrabile.

Soprattutto a seguito dei rigidi criteri dettati dalla giurisprudenza comunitaria, inizialmente è stato ritenuto problematico procedere alla registrazione del colore come marchio per la difficoltà di un’adeguata rappresentazione grafica del colore e delle sue combinazioni in sede di domanda di registrazione.

 

Tale interpretazione restrittiva è stata superata dalla recente riforma del regolamento comunitario in cui la condizione della rappresentazione grafica è stata liberalizzata.

Il colore quindi, vincendo sulle resistenze e le incertezze del passato, è divenuto a tutti gli effetti “un segno atto a costituire marchio purché dotato di capacità distintiva”, assumendo così un ruolo da protagonista.

In quella che il Prof. Sandri ha definito “la società dell’immagine”, il colore è motivo di richiamo e “appealing” per il consumatore, anche sotto forma di packaging del prodotto.

Il fine dell’impresa è indubbiamente quello di distinguere i propri prodotti e servizi. Per questo motivo le imprese scelgono sempre più spesso di investire risorse finanziarie nel packaging ricorrendo, non solo ai colori primari (rosso, giallo e blu) e ai loro complementari (arancione, verde e viola), ma anche a contrasti di colore molto forti facendo leva sulla dominanza percettiva del colore da parte del consumatore. Basti pensare alla strategia pubblicitaria e commerciale adottata per i marchi di rinomanza che ha spostato la marginalità del colore: il rosso è diventato distintivo di “Coca Cola”, il verde di “Heineken”, il giallo di “Mc Donald” e l’arancione di “Aperol Spritz”.

 

Interviene successivamente il Prof. Avv. Cesare Galli, professore ordinario di diritto industriale presso l’università di Parma, che introduce l’argomento del packaging e della sua importanza non soltanto per la presentazione dei prodotti nella grande distribuzione organizzata (GDO), ma anche negli acquisti online affermando che “la confezione del prodotto acquista il ruolo di primo ambasciatore del prodotto e del marchio”.

 

La scelta della confezione dei prodotti è per l’impresa una scelta strategica che tiene conto delle complesse leggi legate alla percezione del consumatore (in particolare della psicologia sociale) in cui bisogna valutare “la coerenza con il messaggio generale comunicato al consumatore”. La forma deve pertanto avere capacità attrattiva, sapersi imporre all’attenzione del pubblico, e deve possedere un carattere individualizzante, ossia deve distinguersi dalle precedenti forme presenti sul mercato.

In base a tutti i requisiti descritti, quindi, il packaging è tutelabile come disegno o modello o segno nel caso in cui comunica un messaggio e viene percepito dal pubblico come segno distintivo.

L’ultimo intervento della giornata di discussione è quello della Dott.ssa Sara Zannelli, Indicam “Market Research”, che, in quanto esperta di psicologia del marketing, mette al centro della sua analisi “la psicologia del consumatore” e l’importanza del packaging nel suo processo decisionale e di scelta.

 

 

MARCHIO E DOMINIO - QUANDO ENTRANO IN CONFLITTO

NUOVE FRONTIERE - NUOVI PIRATI

CYBERSQUATTING – COS’E’ E COSA FARE
Il cybersquatting, noto anche come domain squatting, è la pratica di registrare un nome di dominio che assomiglia a un’organizzazione o a una persona nota senza la loro autorizzazione. Il registrante del dominio compra il dominio in malafede, tipicamente con l’obiettivo di fare un profitto dalla buona volontà della persona o dell’organizzazione o di causare un danno reputazionale a loro.

E se succede, che fare? Sempre più utenti scelgono le procedure arbitrali.

Aumentato del 20% nel 2021 il ricorso alle procedure arbitrali gestite dall’OMPI per risolvere casi di cybersquatting e altri conflitti fra marchi e nomi a dominio; oltre il 94% dei casi si concludono con il recupero/cancellazione dei nomi a dominio senza ricorrere al tribunale.
La rapida crescita dell'e-commerce, accelerata dalla pandemia, ha confermato l’importanza strategica della registrazione del nome a dominio corrispondente ai marchi dell’impresa e dei suoi prodotti.
Spesso la via più rapida ed economica per recuperare un nome a dominio identico o simile al proprio marchio, se la negoziazione non è percorribile, è quella delle procedure arbitrali.
Esiste una procedura arbitrale internazionale, UDRP (Uniform Dispute Resolution Policy) e amministrata, tra gli altri, dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI), che consente ai titolari di marchi di recuperare nomi a dominio registrati da terzi in tutti i registri generali e in un buon numero di quelli nazionali, se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a) il nome a dominio contestato è identico, o tale da indurre in confusione, rispetto al marchio anteriore del richiedente la riassegnazione;
b) il titolare del nome a dominio contestato non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio oggetto di contestazione;
c) l’uso e la registrazione del nome a dominio contestato sono avvenuti in malafede;
Se chi chiede la riassegnazione (ricorrente) prova che sussistono le condizioni a) e c) e il titolare del nome a dominio non dimostra di avere diritto o titolo in relazione allo stesso, il nome dominio viene riassegnato al titolare del marchio.
La procedura UDRP non prevede limitazioni di tempo. I vantaggi di questa procedura sono evidentemente molto apprezzati poiché è già stata utilizzata per risolvere oltre 56 mila casi di cybersquatting.
Le cifre per il 2021
Per quanto riguarda in particolare la procedura internazionale UDRP, oltre il 94% delle dispute si sono concluse con la riassegnazione del nome a dominio al titolare del marchio, oppure con la sua cancellazione.
E' sempre consigliabile registrare il proprio marchio come nome a dominio nei principali registri di interesse: ma nell’impossibilità di registrare tutti i nomi a dominio potenzialmente confondibili con i propri marchi, diventa prioritario anche attivare un servizio di sorveglianza contro la registrazione da parte di terzi di nomi a dominio confondibili con il proprio marchio, per poter affrontare tempestivamente eventuali casi di cybersquatting: alcune procedure per il recupero del nome a dominio diverse dall’UDRP possono essere attivate solo entro precisi dei limiti temporali dalla registrazione del nome a dominio.

ARKONSULT è al vostro fianco per consigliarvi ed affiancarvi in ogni procedura che vorrete implementare a tutela del vostro marchio/dominio.

CANADA - il Nuovo Regolamento Marchi è entrato in vigore

L'Ufficio per la Proprietà Intellettuale canadese (CIPO) ha confermato l’entrata in vigore della nuova normativa in tema di marchi. Il nuovo Regolamento armonizza le disposizioni normative locali con quelle relative al Protocollo di Madrid cui il Canada ha di recente aderito e comporta significativi cambiamenti nella gestione dei marchi canadesi, tra i quali indichiamo in sintesi:

Adesione del Canada al Protocollo di Madrid

Sarà possibile per soggetti canadesi richiedere la registrazione internazionale di un marchio in tutti i Paesi aderenti al Protocollo attraverso una singola domanda. Lo stesso potrà essere fatto per richiedere la protezione di un marchio in Canada attraverso la procedura di registrazione internazionale.

Adeguamento del periodo di validità delle registrazioni da 15 a 10 anni

Adozione della Classificazione Internazionale dei Prodotti e dei Servizi di Nizza

Dichiarazioni d’uso

Viene abolita la richiesta di fornire dati sull’uso al momento del deposito nonché la necessità di fornire i dati relativi ad una precedente registrazione straniera come base per il deposito di una domanda di marchio canadese. Le domande includeranno soltanto una dichiarazione standard con la quale il richiedente afferma di avere utilizzato o intende utilizzare il marchio in Canada. Non sarà quindi più necessario indicare la data di primo utilizzo del marchio in qualunque paese e si potrà dunque depositare un segno anche se questo non è mai stato usato in alcun territorio.

Introduzione del sistema di deposito con una domanda per ogni classe rivendicata

Le domande depositate per una sola classe godranno di una lieve riduzione delle tasse governative mentre i depositi in più classi vedranno un aumento delle stesse.

Le richieste di rinnovo saranno accettate solo sei mesi prima o sei mesi dopo la scadenza del termine.

L’uso del segno continuerà tuttavia ad avere la sua importanza: un soggetto che ha utilizzato il proprio marchio avrà comunque maggiori tutele rispetto ad un altro soggetto che abbia utilizzato un marchio identico o simile in epoca successiva.

SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE COSA POSSONO FARE LE NUOVE VARIETA’ VEGETALI E PERCHE

E’ attualità di queste ultime ore l’impegno dei grandi della Terra riuniti a Glasgow In Scozia di contenere l'incremento della temperatura globale entro i 1,5 °C, con l’ambizioso scopo di azzerare le emissioni di gas serra intorno a metà del secolo. Per far ciò, una delle strade praticabili da subito è stata individuata nel piantumare, entro il 2030, mille miliardi di alberi.

E’ quanto mai rilevante che la conoscenza della diversità genetica nelle specie coltivate riveste un ruolo cruciale per la sostenibilità ambientale. Piantare e coltivare varietà adatte all’ambiente di coltivazione consente un utilizzo razionale ed ottimale delle risorse disponibili. Da qui l’importanza della conoscenza e della ricerca, non solo delle specie autoctone o coltivate attualmente, ma, data la richiesta di ampliamento del patrimonio varietale, della necessità di individuare, salvaguardare e divulgare nuove varietà ad alto rendimento adatte all’ambiente in cui andranno a svilupparsi. In tale contesto, l’accesso ai dati relativi alla caratterizzazione biochimica e alle caratteristiche nutraceutiche delle specie coltivate può meglio indirizzare le scelte varietali, incontrando la sensibilità dei consumatori e dell’industria di trasformazione verso cibi funzionali che coniughino la funzione nutritiva agli effetti benefici sulla salute.

Tali dati vengono riportati nei rapporti che vengono rilasciati dal CPVO (Community Plant Variety Office), con sede ad Angers (Francia), l’organismo comunitario che amministra i diritti sulle nuove varietà vegetali nella UE. E’ prassi consolidata in agricoltura provare innesti nuovi da cui scaturiscono nuovi prodotti che troviamo oggi sulle nostre tavole (un esempio pregevole è il caco-mela).

Il CPVO, attraverso l’osservazione e l’analisi dello sviluppo della nuova specie, ne certifica le proprietà (novità, distinzione, omogeneità e stabilità) riconoscendo per la nuova specie un diritto di esclusiva al legittimo costitutore. Tali specie se giudicate in possesso di tali requisiti sono parificate ad un brevetto, dove il merito spetta senz’altro al costitutore ma in pari modo alla natura. Una natura che siamo chiamati a proteggere e salvaguardare e da cui – se sapremo correre ai ripari - continueremo a trarre benefici.

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